Tim Buckley (1947-1975), probabilmente il più grande cantante della storia del rock e decisamente uno dei musicisti più sottovalutati di sempre.
Lee Underwood dirà di lui "è stato per il canto quello che hendrix è stato per la chitarra"
Pochi altri artisti si sono espressi ad alto livello riuscendo a fondere così tanti stili diversi. Buckley passa dal folk al blues al rock al jazz alla musica da camera come se fosse in grado di sorvolare sopra queste classificazioni, guardandole dall'alto verso il basso. La sua abilità tecnica non è mai utilizzata come un esercizio di stile fine a se stesso, ma bensì, sempre come un mezzo per servire la sua arte. Il canto rock, a differenza del canto teatrale, non è alla ricerca continua della migliore interpretazione di una melodia, il canto rock si guarda dentro, scava nell'anima per trovare quegli archetipi mitici che legano tutti gli esseri umani. Alle volte può essere un grido, un gemito, un respiro, una stonatura o un sussulto. A volte può essere una nota perfetta. In questa ricerca Buckley ha sperimentato tutto, prima e meglio di qualsiasi altro.Buckley era in grado di "vomitare" il suo stato d'animo in una canzone e cantare come un angelo nella successiva.
Starsailor del 1970 rappresenta l'apice della sua maturità musicale e vocale. Un album folk jazz fusion, visionario, onirico, psicadelico, un viaggio tra le stelle di un livello musicale artistico superiore. La sezione di fiati è quella dei mothers of invention (frank zappa) più john balink (basso), lee underwood (chitarra), maury baker (batteria). I testi a cura del poeta Larry Beckett (song to the siren) incorniciano questo capolavoro artistico. Starsailor è l'ultimo disco di una trilogia che lo portò ad incidere 3 dischi in poco più di un mese (gipsy woman e lorca gli altri due).
L'incomprensione generale e la droga lo portarono ad un esilio depressivo forzato, nei 2 anni successivi a Starsailor Buckley lavorò come autista. Ritornò sulle scene nel 1973, pubblicò altri 3 dischi via via sempre più scadenti fino al 1975 quando una sera dopo l'ultimo concerto di un mini tour in texas un'overdose di eroina non mise la parola fine a quel viaggio stellare. Buckley aveva 28 anni.
Le più famose e vendute enciclopedie rock del rolling stones magazine non lo menzionano nemmeno e i suoi dischi sono rimasti per molti anni "incompresi". Solo la storica rivista Jazz Downbeat recensì Starsailor a pieni voti.
Dei suoi due figli, Jeff (che il padre vide solo una volta) inciderà un ep ed un disco (Grace) prima di morire anche lui giovanissimo. Dotato di un incredibile talento vocale mancava però di quello compositivo (resta più famoso per le cover che per le composizioni originali). L'industria discografica lo appoggiò con una massiccia campagna pubblicitaria quasi a voler compensare le mancanze avute nei confronti del padre, ma anche in questo caso il destino si mise in mezzo, impedendo al giovane Jeff di ottenere quell'indiscusso successo commerciale che era sicuramente alla sua portata.
Song to the Siren (Buckley in versione angelica)
e STARSAILOR - FULL ALBUM
Track listing
All lyrics by Larry Beckett and all music by Tim Buckley, except where noted.
- "Come Here Woman" (Buckley) – 4:09
- "I Woke Up" – 4:02
- "Monterey" – 4:30
- "Moulin Rouge" – 1:57
- "Song to the Siren" (Beckett/Buckley) – 3:20
- "Jungle Fire" (Buckley) – 4:42
- "Starsailor" (John Balkin/Buckley) – 4:36
- "The Healing Festival" (Buckley) – 3:16
- "Down by the Borderline" (Buckley) – 5:22
Personnel
- John Balkin – double bass, electric bass
- Lee Underwood – guitar, piano, pipe organ
- Buzz Gardner – trumpet, flugelhorn, solo on "Down by the Borderline"
- Maury Baker – percussion
- Tim Buckley – guitar, 12-string guitar, vocals
- Bunk Gardner – alto flute, tenor saxophone, solo on "The Healing Festival"
- Art Direction and Photography - Ed Thrasher
- Repackaging for 1989 remastered CD version - L.J. Moche