Dopo la sveglia del 2008 (e la fine del sistema capitalistico come lo conoscevamo o pensavamo di conoscerlo) il numero di rivolte degli ultimi anni è quantomeno estremamente frizzante.
La Turchia si aggiunge alla lista. Il paese non ha problemi economici,anzi,la crescita e l'importanza geopolitica di questa nazione sono da serie A. La sua agenda estera spazia dalla pace in Kurdistan alla costruzione di oleodotti in Iraq al conflitto in Siria. Istanbul porta il peso della responsabilità geografica come baricentro del mediterraneo orientale e punto di congiunzione tra l'Europa e l'Asia.
Erdogan ovviamente non vuole mollare l'osso, il suo piano è quello di estrarre voti dal partito dei lavoratori in Kurdistan e cercare di ottenere abbastanza appoggio per un referendum costituzionale.Ha utilizzato come strumento di scambio anche la religione e quando maneggi la dinamite sai che può esplodere.
Il referendum trasformerebbe la Turchia da un sistema parlamentare ad uno presidenziale permettendo così al nostro eroe di estendere il suo mandato oltre la naturale scadenza del 2015. Il suo partito non è seriamente minacciato da altre alternative politiche ed è probabilmente destinato a vincere le prossime elezioni (ottobre 2015), ma il suo piano di diventare presidente sembra, a questo punto, molto più difficile da attuare.
Facciamo la lista dei paesi in rivolta (guerra,rivoluzione o protesta) dal 2010 ad oggi: ....
- Grecia
- Primavera Araba
- Rivoluzione Tunisina
- Guerra civile in Libia
- Guerra civile in Siria
- Rivolta in Bahrain
- Proteste in Giordania
- Proteste in Marocco
- Proteste in Oman
- Rivoluzione Yemenita
- Proteste in Iran
- Proteste in Spagna
- Proteste in Svezia
- Rivolta in Turchia
.... ma la colpa dev'essere sicuramente di Twitter e Facebook.