Nell'attesa sono nate alcune riflessioni.
Oggi alle ore 18,00 avrei dovuto essere a Firenze, a Palazzo
Vecchio, a discutere insieme a Gianni Pittella, vicepresidente del Parlamento
Europeo, e Matteo Renzi il libro Breve storia
del futuro degli Stati Uniti d’Europa. Ma Renzi ieri è stato
improvvisamente convocato da Enrico Mentana per la solita chiacchierata
televisiva e pertanto l’evento è stato immediatamente cancellato. Così oggi mi
ritrovo con qualche ora libera da impegni e provo a immaginare quello che avrei
potuto dire a Firenze se, nel corso del dibattito, me ne avessero dato la
possibilità, e se io ne avessi avuto l’estro (di solito parlo a braccio e non
preparo nulla).
Il titolo del libro di cui avremmo dovuto parlare è
discutibile, considerato che gli autori dopotutto parlano dello stato presente
dell’Europa e quando accennano al futuro riportano soltanto la visione di alcuni
burocrati, quelli della Commissione Europea che hanno prodotto un lungo
rapporto intitolato “A Blueprint for a deep and genuine emu: Launching a European debate” e il rapporto presentato a
dicembre dal presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy – la mitica, si fa per
dire, road map – in cui gli autori del libro Breve storia, tra l’altro, credono poco,
perché riflette il punto di vista non dei cittadini europei ma solo di quelli
che lavorano nelle istituzioni europee o negli apparati degli Stati nazionali.
Ma qual è lo stato dell’Europa oggi? Bisogna subito
puntualizzare che non esiste un unico discorso sull’Europa oggi, ma ne esistono
almeno tre: uno è quello che potremmo attribuire all’Europa degli Stati e ai
politici che la rappresentano, un secondo è portato avanti da quelli che
potremmo definire l’Europa degli Eurotecnoburocrati, ma che per semplicità
chiameremo l’Europa degli Uffici e di tutti quelli che ci mangiano con loro
grande soddisfazione. Poi ci sono i discorsi di una terza Europa, quella dei
cittadini.
Nell’Europa degli Stati parlano soprattutto i politici
locali, la maggior parte dei quali ha capito poco di quello che sta a
succedendo loro (discredito crescente da parte dei cittadini) né tantomeno
capiscono qualcosa dei processi europei. Molti di questi credono che solo i
rappresentanti politici degli Stati nazionali abbiano sufficiente autorità e
capacità operative per far andare avanti l’Europa. I loro posti preferiti sono
i meeting europei, soprattutto quelli del Consiglio Europeo, dove i premier
sconosciuti degli staterelli e quelli di Paesi come l’Italia, che non hanno
credibilità, puntano soprattutto alla foto ricordo a fianco di Angela Merkel.
Una sorta di Congresso di Vienna permanente dove ogni politico fa finta di
tornare a casa con qualcosa di vincente per la loro constituency (ma di solito tornano a mani vuote). Alcuni,
soprattutto i tedeschi coltivano nuovi (o meglio novelli) sogni di gloria e di
comando per il loro Stato.
Esiste poi un’altra Europa, quella dei cittadini europei. È
un’Europa ancora bambina. Fino al 1992 non aveva nemmeno uno status
costituzionale, esisteva solo come un’idea. I discorsi che fanno i cittadini
europei sono totalmente diversi da quelli dell’Europa degli Stati o dell’Europa
degli Uffici. Qui si discute se alcuni poteri sia meglio staccarli dallo Stato
nazionale, per incorporarli in un qualcosa che per ora chiamiamo Stati Uniti
d’Europa, per ricordare il concetto che il punto di arrivo dovrebbe essere
simile a quello degli Stati Uniti d’America, dove alcuni Enti Centrali
esercitano direttamente un potere su tutti i cittadini, bypassando gli Stati
nazionali. L’idea di un’unione politica tra i vari Stati europei è una idea
vecchissima. Il primo a sognarla fu addirittura Dante Alighieri e il primo a
coniare l’espressione “Stati Uniti d’Europa” è stato non un politico, ma un
altro cittadino scrittore, Victor Hugo, nel 1849. E dopo la prima guerra
mondiale, il conte austriaco Coudenove-Kalergi catturò l’attenzione di molti
con la sua idea di Pan-Europa, una organizzazione che avrebbe dovuto unire
popoli e Stati. Molti intellettuali e scrittori (tra cui Einstein, Apollinaire
e Thomas Mann) e qualche politico (il più noto è il sindaco di Colonia Konrad
Adenauer) si entusiasmarono per le idee del conte austriaco.
L’Europa dei cittadini ha grandi speranze che un giorno si
possa arrivare a un discorso politico europeo che rispecchi una pubblica
opinione europea e che la maggior parte dei poteri risieda nel Parlamento
europeo. Come nel caso dell’Europa degli Stati non è l’entità astratta dello
Stato che parla, ma i suoi politici, così nell’Europa dei cittadini non sono i
popoli europei a esprimersi, ma principalmente scrittori, intellettuali e
filosofi che si ritengono adatti a parlare a nome dei cittadini europei,
perfettamente coscienti che ancora la maggior parte dei cittadini in carne ed
ossa nemmeno capisce di cosa stiamo parlando. Il leader di questo movimento
potrebbe essere considerato il filosofo tedesco Jurgen Habermas, che già nel
1995, solo pochi anni dopo che l’idea di cittadino europeo aveva avuto pieno
riconoscimento – qualcuno l’aveva definito un guscio vuoto – scrisse che la democrazia in Europa non può
più essere un a realtà vera a meno che non si sviluppi una pubblica sfera di
dibattito paneuropeo, una società civile europea con organizzazioni non governative
e associazioni di vario tipo, una cultura politica comune, con un sistema dei
partiti appropriato all’arena europea. A Renzi avrei chiesto cosa avrebbe
fatto, se fosse diventato segretario del Partito Democratico (oggi un partito
puramente nazionale). A quale famiglia lo avrebbe aggregato a quella dei
Socialisti Europei o a quella dei Popolari (visto che lui proviene dalla
gloriosa Democrazia Cristiana)? Oppure avrebbe cercato di creare una famiglia
europea dei Democratici, oppure dei Democratici e Socialisti (una sorta di PSDI
di Saragat a livello europeo).
L’Europa degli Uffici è emersa dopo la fine della seconda
guerra mondiale, soprattutto per l’instancabile energia di un cittadino
francese, Jean Monnet, che aveva dapprima lavorato per la Società delle Nazioni
a Ginevra e poi si era occupato della Supply
Chain tra le forze militari americane, inglesi e francesi (a quanto ne so
non ha mai ricoperto cariche politiche, a meno che non si consideri la
Presidenza della CECA una carica politica).
Anche l’Europa degli Uffici parla continuamente di
trasferimento di poteri dalla periferia al centro. La loro visione (???) viene
messa avanti a quella degli Stati, senza nessuna preoccupazione di far sapere
almeno a un gruppo ristretto di cittadini di cosa si tratta e tantomeno si
preoccupa di discuterne seriamente con altri interlocutori. Quanti italiani
conoscono la mitica road map
elaborata dalla Commissione Europea e dal presidente Van Rompuy? L’1 per cento,
e cioè circa 600.000 italiani e meglio lo 0,1 per cento e cioè circa 60.000
cittadini? Non vorrei essere troppo pessimista, ma credo che anche l’ultima
percentuale sia sbagliata per eccesso. Per l’Europa degli Uffici, persino
quella dei politici è troppo sopravvalutata e inconcludente. In questo ambito
l’Europa dei cittadini non esiste quasi. I tecnoburocrati si occupano di conti
pubblici, di bilance dei pagamenti, tassi di interesse e pensano che sia
l’Economia a guidare il carro e non la Politica. Il pensiero dell’Europa degli
Uffici l’ha espresso al meglio un vecchio Presidente della Commissione Europea,
Walter Hallstein: «La natura vera di questo nostro mondo necessita una
ridefinizione del significato che noi diamo alle parole politica ed economia, e
una riscrittura o forse anche l’eliminazione della barriera semantica tra i due
concetti».
Ognuno dei tre discorsi formula a modo suo una verità, la
scomparsa della politica, la resilienza dello Stato Nazione e le condizioni
disastrose della democrazia. Tornando al futuro, nessuno può essere sicuro
quale di questi discorsi prevarrà. Non amo particolarmente Michel Foucault. Ma
su un punto mi sembra abbia ragione: «I discorsi non significano soltanto una
mera verbalizzazione dei conflitti o dei sistemi di dominio, ma rappresentano
l’essenza stessa di quello per cui si combatte».
Fino all’anno della rivoluzione francese, 1789, molti scrittori
non si occupavano molto della loro storia comune. Dopo, nessuno ha potuto
sottrarsi a farci i conti, da Goethe a Tolstoi, da Manzoni a Leopardi.
Nell’Europa di oggi non c’è ancora stato il 1789. Non è detto però che non
possa esserci in futuro.