A cura di Guido Rovatti
Alcuni volti,
alcuni sguardi, non sono fatti per essere dimenticati.
Il cinema
(tutto) saluta Peter Seamus
O'Toole, ma questo saluto non ha il sapore di un addio: è solo l’incipit di un
eterno ritorno.
(Non è nel mio stile, nè in quello
delle fonti di informazione (indipendenti) con le quali collaboro, fare
“marchette” perbene quando qualche big passa a miglior vita, e vi possiamo
assicurare che a differenza di tante “parrocchie” (gruppi pop (che di rock non
hanno niente) … scrittorucoli che riceveranno lauree honoris causa e altri
leccaculi in fila per un posto in parlamento…) noi, non avevamo nel cassetto un
pezzo per quando sarebbe morto “Lawrence d’Arabia”.)
Noi,invece,volevamo bene a Peter
(come tutto il pubblico che vuole bene al cinema):
nato in Irlanda nel 1932, figlio di una casalinga e di un
allibratore, cresciuto in Gran Bretagna, fra pub e corse di cavalli,fattorino
allo Yorkshire Evening Post e da fattorino a apprendista
giornalista.
Una carriera costruita da solo, senza parenti o amici in parlamento.
Si, ok, la sorte è stata dalla sua parte: prima quando lo ha
dotato del suo volto, e poi quando il grande regista David Lean (Il ponte sul fiume Kwai (1957) - Il dottor
Zivago (1966)) lo ingaggia come terza scelta (dopo il rifiuto di Albert Finney e l'impossibilità di avere Marlon
Brando in quanto impegnato su un altro set) per il Kolossal che lo renderà
eternamente famoso.
Ma O’Toole non è “solo” Lawrence d’Arabia, la sua carriera
cinematografica (e anche televisiva) è incredibilmente ricca di “lavori”:
riceverà 8 (otto) nominations come miglior
attore protagonista (non ne vincerà nemmeno una).
Inizia in televisione nel 1956, esordisce nel cinema 4 anni
dopo con Il ragazzo rapito (regia di Robert Stevenson), spende
oltre 50 anni della sua vita nell’industria cinematografica.