Ieri sera Guardiola le ha prese di santa ragione. Tutti contenti per l'Italianissimo Ancelotti e il talentuoso Real Madrid.
Qui finisce l'analisi calcistica da tifoso.
Adesso iniziano le considerazioni umane.
Nel post partita, dallo studio, i caproni che si definiscono opinionisti hanno esultato come sempre fanno sul cadavere dello sconfitto. Ci hanno ricordato, ma non ne avevamo bisogno, come non siano altro che una manica di avvoltoi beccamorti in attesa della carcassa da violare un'ultima volta davanti ai microfoni.
In questo caso però, lo sconfitto è diverso dagli altri. Guardiola viene definito un "filosofo" del calcio. Considerando la media di chi si occupa di questo sport potrebbero anche definirlo un genio e non si sbaglierebbero di molto.
Il prototipo dell'allenatore che vediamo tutti i giorni è molto semplice. Vuole vincere, mantenere e aumentare lo stipendio, allenare squadre prestigiose, guadaganare rispetto e visibilità per il suo lavoro. Non esce quindi da una visione egocentrica e personale posizionata all'interno di un gioco predefinito nel quale il suo successo è l'unico obiettivo.
Guardiola ha una visione e un'ambizione molto più grande. Vuole cambiare il gioco. Cambiarlo per tutti e per sempre. Gli opinionisti e grande parte del pubblico sono affascinati dalla grinta degli allenatori da conferenza stampa. Impressionati da come siano feroci, violenti, sicuri di loro stessi, senza pietà. Guardiola non è un personaggio mediatico da conferenza stampa, non fa paura con le parole. Ma sul campo è l'allenatore più violento che abbia mai visto. Lui non vuole vincere come gli altri, lui vuole vincere secondo le sue regole e lo vuole fare con l'80% di possesso palla. Arrivare dentro la porta con la squadra senza neanche tirare. Il tiro nel suo gioco è quasi come tentare la fortuna gettando una monetina. Troppo approssimativo. Preferisce sfondare l'avversario con nove uomini dopo averlo sdraiato a terra.
Negli anni in cui ha allenato dei giocatori superlativi, in grado di concretizzare le sue idee, ci ha mostrato un calcio che sembrava arrivare da un altro pianeta. Un dominio totale e una visione d'insieme così superiore alle altre, non si vedevano dai tempi del Milan di Sacchi.
Uno così non si può trattare come un allenatore qualunque.
E riguardo alla goduria che in molti provano di fronte alla presunta sconfitta di questa "filosofia" è giusto ricordare cosa disse Bertrand Russell sui giudizi post-mortem.
"Quando morirò preferisco che a giudicare il mio lavoro sia un nemico intelligente piuttosto di un amico stupido. Lo stupido non può capire cose che vanno oltre la propria stupidità. E' costretto forzatamente a ridurre tutto in termini che a lui possano essere comprensibili".
Qui finisce l'analisi calcistica da tifoso.
Adesso iniziano le considerazioni umane.
Nel post partita, dallo studio, i caproni che si definiscono opinionisti hanno esultato come sempre fanno sul cadavere dello sconfitto. Ci hanno ricordato, ma non ne avevamo bisogno, come non siano altro che una manica di avvoltoi beccamorti in attesa della carcassa da violare un'ultima volta davanti ai microfoni.
In questo caso però, lo sconfitto è diverso dagli altri. Guardiola viene definito un "filosofo" del calcio. Considerando la media di chi si occupa di questo sport potrebbero anche definirlo un genio e non si sbaglierebbero di molto.
Il prototipo dell'allenatore che vediamo tutti i giorni è molto semplice. Vuole vincere, mantenere e aumentare lo stipendio, allenare squadre prestigiose, guadaganare rispetto e visibilità per il suo lavoro. Non esce quindi da una visione egocentrica e personale posizionata all'interno di un gioco predefinito nel quale il suo successo è l'unico obiettivo.
Guardiola ha una visione e un'ambizione molto più grande. Vuole cambiare il gioco. Cambiarlo per tutti e per sempre. Gli opinionisti e grande parte del pubblico sono affascinati dalla grinta degli allenatori da conferenza stampa. Impressionati da come siano feroci, violenti, sicuri di loro stessi, senza pietà. Guardiola non è un personaggio mediatico da conferenza stampa, non fa paura con le parole. Ma sul campo è l'allenatore più violento che abbia mai visto. Lui non vuole vincere come gli altri, lui vuole vincere secondo le sue regole e lo vuole fare con l'80% di possesso palla. Arrivare dentro la porta con la squadra senza neanche tirare. Il tiro nel suo gioco è quasi come tentare la fortuna gettando una monetina. Troppo approssimativo. Preferisce sfondare l'avversario con nove uomini dopo averlo sdraiato a terra.
Negli anni in cui ha allenato dei giocatori superlativi, in grado di concretizzare le sue idee, ci ha mostrato un calcio che sembrava arrivare da un altro pianeta. Un dominio totale e una visione d'insieme così superiore alle altre, non si vedevano dai tempi del Milan di Sacchi.
Uno così non si può trattare come un allenatore qualunque.
E riguardo alla goduria che in molti provano di fronte alla presunta sconfitta di questa "filosofia" è giusto ricordare cosa disse Bertrand Russell sui giudizi post-mortem.
"Quando morirò preferisco che a giudicare il mio lavoro sia un nemico intelligente piuttosto di un amico stupido. Lo stupido non può capire cose che vanno oltre la propria stupidità. E' costretto forzatamente a ridurre tutto in termini che a lui possano essere comprensibili".