lunedì 17 novembre 2014

Il villaggio urbano

Spostarsi in una grande città comporta dei rischi ma anche molte opportunità.
Cose risapute ma che oggi alcuni ricercatori sono in grado di dettagliare in maniera sempre più accurata.

A cura di Carlo Ratti e Matthew Claudel


CAMBRIDGE – “Ne voglio far parte - New York, New York”, così Frank Sinatra cantava a proposito della città che ha attratto moltissime delle persone più ambiziose del mondo, da artisti ed interpreti a uomini d’affari e banchieri. In un certo senso, questo non è un fenomeno difficile da spiegare; le metropoli come New York City, con le loro popolazioni multiculturali, le imprese multinazionali, e il gran numero di persone di talento, sono piene di opportunità. Ma l’impatto delle grandi città va più a fondo del loro potere economico o culturale; la città può cambiare radicalmente la vita delle persone - e anche le persone stesse.



Nel 2010, Geoffrey West, insieme a un team di ricercatori, ha scoperto che una serie di misure socio-economiche - sia positive che negative - aumentano con la dimensione della popolazione locale. In altre parole, più grande è la città, più alti sono il salario medio, il livello di produttività, il numero dei brevetti per persona, il tasso di criminalità, il diffondersi dell’ansia, e l’incidenza dell’HIV.
Infatti, quando una città raddoppia, ogni misura dell’attività economica aumenta di circa il 15% pro capite. Questo è il motivo per cui le persone si spostano nella grande città; di certo, è il motivo per cui le città prosperano.
Questa legge rimane costante per tutte le dimensioni della città. E non è l’unica. Un insieme crescente di evidenze suggerisce che funzioni simili governano un numero anche maggiore di aspetti della vita urbana rispetto a quanto indicato del gruppo di ricerca di West.
Come possono città così apparentemente diverse come New York, con il suo profilo imponente, e Parigi, caratterizzata dagli ampi boulevard, funzionare in modo tanto simile? Se, come ha suggerito Shakespeare, una città non è altro che la sua gente, la risposta potrebbe trovarsi nei caratteristici modelli di connessione, interazione e scambio tra i residenti.
L’HIV – come ogni malattia a trasmissione sessuale - offre un esempio particolarmente eloquente del modo in cui le interconnessioni sociali condizionino la vita urbana, poiché si diffonde attraverso i legami tra i partner. Le idee - e le innovazioni che ne derivano - si diffondono in un modo simile.
Solo pochi anni fa, una vasta indagine su queste complesse reti sociali sarebbe stata praticamente impossibile. Dopo tutto, gli strumenti disponibili - isolati esperimenti di laboratorio e questionari scritti - erano entrambi imprecisi e difficili da applicare su larga scala.
Internet ha cambiato questa realtà. Coinvolgendo miliardi di persone all’interno di una connettività senza soluzione di continuità, le piattaforme online hanno trasformato la portata dei social network e fornito ai ricercatori nuovi strumenti per indagare l’interazione umana.
In realtà, un nuovo campo di studi sta emergendo nell’intersezione tra analisi dei dati e sociologia: le scienze sociali computazionali. Utilizzando i dati raccolti on-line o tramite reti di telecomunicazione - i provider wireless Orange e Ericsson, per esempio, hanno recentemente messo alcuni dati a disposizione dei ricercatori - è oggi possibile affrontare, in modo scientifico, domande fondamentali sulla socialità umana.
Un recente lavoro (di cui uno di noi, Carlo Ratti, è uno dei co-autori) utilizza dati anonimi provenienti dalle reti di telecomunicazione di tutta Europa per esplorare come cambino le interazioni umane con la dimensione della città. I risultati sono sorprendenti: nelle grandi città, la gente non solo cammina più velocemente (una tendenza registrata sin dagli anni sessanta), ma più velocemente incontra anche nuovi amici - e li cambia.
Questo fenomeno è probabilmente radicato nel fatto che, in conformità con i risultati di West, il numero totale delle connessioni umane aumenta con la dimensione della città. Gli otto milioni di abitanti di Londra si collegano regolarmente con circa il doppio delle persone rispetto a quelle con cui entrano in contatto i 100 mila residenti di Cambridge. Questa crescente esposizione alla gente - e quindi ad idee, attività, e persino malattie - potrebbe spiegare l’impatto della dimensione della città sui risultati socioeconomici.
Ma c’è un’altra tendenza che resta costante per città di tutte le dimensioni: le persone tendono a costruire “villaggi” intorno a sé. Questo comportamento è quantificato come il “coefficiente di clustering” delle reti - vale a dire, la probabilità che gli amici di una persona saranno anche amici tra di loro - e rimane straordinariamente stabile in tutte le aree metropolitane. In poche parole, in tutto il mondo gli esseri umani sono naturalmente inclini a vivere all’interno di comunità affiatate.
Ovviamente, questa idea non è nuova. L’urbanista Jane Jacobs, ad esempio, ha descritto le ricche interazioni che avvengono nei quartieri di New York City - quello che lei ha chiamato “un intricato balletto, in cui i singoli ballerini e i gruppi hanno tutti parti distinte che miracolosamente si rafforzano a vicenda”. Ciò che le scienze sociali computazionali offrono è la prospettiva di quantificare tali osservazioni e sviluppare informazioni che potrebbero plasmare la progettazione degli ambienti urbani in futuro.
Ci si domanda se queste conoscenze siano anche in grado di sbloccare il potere delle interazioni umane all’interno dei piccoli centri, permettendo loro di accedere ad alcuni dei vantaggi sociali ed economici della grande città. In questo senso, è molto importante riconoscere la differenza fondamentale tra “villaggi urbani” e le loro controparti rurali. In questi ultimi, le reti sociali sono in gran parte predeterminate da famiglia, prossimità, o storia. Gli abitanti delle città, invece, hanno la possibilità di esplorare una vasta gamma di opzioni per creare villaggi su misura in base alle loro affinità sociali, intellettuali, o creative.
Forse è per questo che Sinatra ha lasciato la sua città natale di Hoboken, New Jersey. Solo in una città come New York avrebbe potuto trovare il “Rat Pack”.