La Paura
La globalizzazione, l'uniformità non sono tentativi di manipolazione pratica e ideologica da parte di piccoli gruppi elitari, bensì la disperata ricerca di sicurezza e soppressione della paura da parte della massa.
La paura nella società moderna.
Paura di fallire, paura di uscire dal proprio guscio
Paura di essere assaliti e feriti per le strade
Paura di perdersi in un posto sconosciuto, per questo le grandi catene multinazionali offrono consolazioni e tepore adeguato.
Paura di non essere accettati per i nostri vestiti, per i nostri comportamenti.
Paura del diverso che si accompagna alla pigrizia e allo sforzo della conoscenza.
Non diventiamo più stupidi e ignoranti per una degenerazione imposta o congenita, questo accade perché cerchiamo di ridurre al massimo il ruolo della paura.
La paura dell'astinenza e la paura del consumo, la paura di non riuscire a colmare quel voto che alimenta la paura.
Non è l'avarizia, la ricerca del successo, felicità o il sesso ma la Paura il nostro peccato originale.
La fontana nella quale veniamo imbevuti prima ancora di vedere la luce è quella del buio della paura.
La globalizzazione, l'uniformità non sono tentativi di manipolazione pratica e ideologica da parte di piccoli gruppi elitari, bensì la disperata ricerca di sicurezza e soppressione della paura da parte della massa.
La paura nella società moderna.
Paura di fallire, paura di uscire dal proprio guscio
Paura di essere assaliti e feriti per le strade
Paura di perdersi in un posto sconosciuto, per questo le grandi catene multinazionali offrono consolazioni e tepore adeguato.
Paura di non essere accettati per i nostri vestiti, per i nostri comportamenti.
Paura del diverso che si accompagna alla pigrizia e allo sforzo della conoscenza.
Non diventiamo più stupidi e ignoranti per una degenerazione imposta o congenita, questo accade perché cerchiamo di ridurre al massimo il ruolo della paura.
La paura dell'astinenza e la paura del consumo, la paura di non riuscire a colmare quel voto che alimenta la paura.
Non è l'avarizia, la ricerca del successo, felicità o il sesso ma la Paura il nostro peccato originale.
La fontana nella quale veniamo imbevuti prima ancora di vedere la luce è quella del buio della paura.
L'alienazione e la socialità, la violenza che cerca di unirci, le classi e la divisione del lavoro non sono altro che i gradini di una scala che ci possono, aleatoriamente o illusoriamente, allontanare dalla paura.
Il terrore della decadenza e il culto del pessimismo occidentale da Spengler ad Adorno, da Gobineau a Hitler, l'illuminismo teorico di Voltaire od empirico di Newton e Smith non sono altro che corse e spiegazioni, rincorse e soluzioni alla paura.
Ad negationis, la teologia negativa, ogni approccio di conoscenza negativo, partendo quindi da ciò che non è e non può essere, è invece il pensiero di chi scavalca la paura come un salto equestre.
La spinta consumistica trova nella paura, attraverso l'induzione del bisogno e il "manufactured consent" di Wright Mills o Marcuse il suo più grande alleato.
Non è però un piano o complotto misterioso che costruisce e preme su di noi affinché consumiamo ciò di cui non abbiamo bisogno alla Hidden Persuaders di Vance Packard, ma una stimolazione volontaria per esorcizzare quel nostro male intrinseco che è la paura.
In questo senso, la globalizzazione e massificazione, sono dei mezzi per ridurre la paura. La distruzione della spiritualità e unicità dell'individuo affogato in questo immenso oceano totalizzante sono effetti collaterali.
Effetti collaterali e paradossi della paura che alimenta se stessa li troviamo anche nella violenza esercitata per uniformare le civiltà diverse dalla nostra.
Violenza che viene contrastata dalle continue rassicurazioni e campagne sul rispetto delle diversità per razza, religione od orientamento sessuale.
Anche in politica è la sicurezza, prima ancora del benessere, il cardine primario sul quale avvengono le convergenze e gli scontri più aspri, spesso i ministeri degli interni o homeland sono i banchi di prova più duri ed imprevedibili per tutti i grandi leader, proprio perché i più prossimi alle paure ataviche e agli istinti primordiali.
Le teorie sulle realtà razziali in Europa di Lothrop e Stoddard, l'antisemitismo millenario dagli antichi Egizi a Houston Chamberlain da Edoardo I ad Hitler non è altro che la reazione ad una paura.
Anche sul Nazismo si può per assurdo pensare non abbia agito, dal proprio punto di vista, in maniera sbagliata, erano veramente convinti delle teorie di Gobineau, Oswald Spengler e del circolo di Bayreuth, erano veramente convinti che la civiltà occidentale fosse in declino e che l'imbastardimento della razza Ariana, aristocratica e primogenita, avrebbe portato alla fine del mondo.
Erano convinti di avere una soluzione alla paura che le teorie dell'evoluzione, e quindi anche decadenza, avevano portato nel continente.
Così come anche le rivoluzioni comuniste i suoi pogrom, che hanno massacrato fisicamente e psicologicamente milioni di persone in nome dell'uguaglianza.
Ancora ed anche qui, la paura della diversità.
Di cosa abbiamo paura è la prima domanda,
Perché è la seconda ma a questa nessuno può rispondere a fondo, nemmeno la fede.
L'esistenza stessa della fede è la dimostrazione della paura senza la quale non avrebbe senso.
Nella storia dell'uomo la paura è quindi lo scomodo compagno di viaggio delle nostre scelte.
Meglio non appaia però, meglio non nominarlo, meglio nasconderlo.
Fino a che punto siamo disposti ad arrivare, quanta libertà, tempo, lavoro e denaro siamo disposti a concedere per non vivere nella paura, nella paranoia e nel terrore.
Qual è il bilanciamento da raggiungere, come in un compromesso sentimentale o una negoziazione di lavoro.
La città illuminata a gas di Baudelaire o il Mhagonny di Brecht, così come la giungla di Conrad sono lo sfondo e il palcoscenico sul quale le nostre paure prendono vita.
Anche negli Uccelli di Aristofane i protagonisti vogliono scappare dalla crudele terra Spionía, di Clessídra descritta dal coro prima delle nozze come una perfida genía.
Di cosa abbiamo paura è la prima domanda,
Perché è la seconda ma a questa nessuno può rispondere a fondo, nemmeno la fede.
L'esistenza stessa della fede è la dimostrazione della paura senza la quale non avrebbe senso.
Nella storia dell'uomo la paura è quindi lo scomodo compagno di viaggio delle nostre scelte.
Meglio non appaia però, meglio non nominarlo, meglio nasconderlo.
Fino a che punto siamo disposti ad arrivare, quanta libertà, tempo, lavoro e denaro siamo disposti a concedere per non vivere nella paura, nella paranoia e nel terrore.
Qual è il bilanciamento da raggiungere, come in un compromesso sentimentale o una negoziazione di lavoro.
La città illuminata a gas di Baudelaire o il Mhagonny di Brecht, così come la giungla di Conrad sono lo sfondo e il palcoscenico sul quale le nostre paure prendono vita.
Anche negli Uccelli di Aristofane i protagonisti vogliono scappare dalla crudele terra Spionía, di Clessídra descritta dal coro prima delle nozze come una perfida genía.
Non è solo il ruolo dell’amigdala che qui interessa ma la
parte più vicina alla psicologia individuale e collettiva che la paura ricopre
come lato imprescindibile della nostra esistenza.
D’altra parte la Paura è quella sensazione che ci mantiene
in vita, che ci permette di esistere insieme agli altri.
Durante il risveglio, ripreso in ogni momento, l’espressione
di un pensiero si muove sopra il nostro tempo.
L’individualità di ogni esistenza che Einstein ha
definitivamente consegnato al mondo fattuale vive in contrasto con le attività
uniformanti del mondo moderno.
Ma allora questo contrasto non è forse un tentativo di non
volere accettare una realtà ?
Ogni essere umano ha un suo spazio-tempo e una sua unica
percezione di questo, siamo soli, e questo viaggio chiamato vita è
un’esperienza, che ci piaccia o no, solitaria.
Allo stesso tempo i nostri simili provano emozioni, in
momenti e modi differenti, simili alle nostre e questo ci permette di
relazionarci con il prossimo, perfino ad innamorarci e credere quindi di potere
congiungere la nostra percezione dello spazio-tempo con quella di un altro
individuo.
Creando una solitudine a due, il resto del mondo fuori.
Eventualmente ogni amore finisce e si trasforma nel migliore
dei casi in rispetto e compagnia durante questo viaggio, non è possibile unire
la nostra percezione del tempo e dello spazio a quella di nessun’altro,
eccezion fatta per il neonato in grembo materno.
Allora la ricerca dell’uno, del mondo globale, della
connessione e unione continua, cosa sono se non movimenti di una paura
collettiva che cerca di porre o ridurre al minimo la propria precaria condizione.
Visioni pessimistiche sul futuro dell’uomo sono vittime
della paura mascherata da realismo, visioni ottimistiche sul futuro dell’uomo
sono vittime della speranza mascherata da realismo.
Da qui arriviamo all’antitesi tra civilizzazione e cultura
di Norbert Elias, al processo di civilizzazione e al contrasto tra paura
(cultura) e speranza (civilizzazione).
In ogni essere umano sono presenti queste due componenti di
pensiero in contrasto tra loro, la fiducia e l’illusione di un mondo migliore e
unitario senza più barriere né confini e l’amara considerazione della decadenza
di una società che uniformandosi e mescolandosi perde la sua purezza originale.
Condannandosi all’involuzione di Charles Darwin, ogni specie
si evolve ma in determinate condizioni questo processo è logicamente
reversibile e trasformabile nel declino ed estinzione.
La ricerca delle cause che possono portare la nostra civiltà
sulla strada della degenerazione e del declino è la spinta motrice, nel nome di
un ipotetico futuro migliore, di alcune delle più grandi stragi e massacri
della storia dell’uomo.
E’ anche la spinta motrice per molte ideologie che
dovrebbero e o avrebbero dovuto, preservare e accrescere l’evoluzione della
specie.
La verità è che solo la paura ci porta a pensare sia possibile
sconfiggere se stessa, non è possibile vivere senza la paura come non è
possibile pensare ad un ordine mondiale che non abbia al suo interno una dose
di Paura e imprevedibilità corrispondente alla sua vita ed energia.
Nell’evoluzione dell’uomo maggiore è la paura fisica e
maggiore è la spinta evoluzionistica e i margini di miglioramento
raggiungibili.
Pensiamo agli uomini preistorici e agli incredibili rischi
che correvano ogni giorno quando si svegliavano nella continua lotta uomo –
natura, completamente sottomessi.
L’evoluzione ha invertito i ruoli e dopo millenni l’uomo ha
definitivamente sottomesso la natura e oggi s’interroga su come fermare il suo
progresso cercando di, non solo di dominarla, ma addirittura di
annientarla.
In questo senso potremmo considerare l’ideale di un perfetto
mondo globale, sicuro, uniforme come un declino ed una fine della vita stessa.
Quale paura fisica può correre un cittadino al quale viene
offerto come diritto acquisito ogni bene di prima necessità, un lavoro, una
casa e un mezzo di trasporto ?
Il comunismo è un esempio lampante di come questa ricerca ed
eliminazione della paura fisica dal contesto esistenziale abbia portato ad un
rapido declino durato solo qualche sanguinoso decennio.
In questo caso è necessario notare però come la riduzione
della paura fisica nell’evoluzione dell’uomo abbia portato ad un progressivo
incremento delle sue paure psicologiche.
L’uomo moderno nel sistema capitalista neoliberista è sotto
costante pressione e timore psicologico di non essere abbastanza performante e
all’altezza di standard irraggiungibili che vengono presentati come la media
sotto la quale sia plausibile considerare la propria vita un fallimento.
Se abbiamo notato che la dimensione della paura fisica in
una determinata area o civiltà è stata ed è un ottimo indicatore dei margini di
progresso, possiamo fare lo stesso con la paura psicologica?
E’ possibile affermare come una società che impone sugli
individui un’incredibile pressione verso il successo e la vittoria, in totale
antitesi con il naturale corso della vita destinata alla morte e quindi al
fallimento, abbia importanti margini di progresso così come le civiltà dove la
paura fisica è altrettanto grande?
La paura psicologia o sociologica è oggi abitualmente contrapposta
alla sicurezza in quella che appare un’antinomia scontata. Negativa la paura,
positiva la sicurezza.
In realtà anche senza necessariamente seguire un’angolazione
teorica psicoanalitica risulta chiaro come, se per la paura fisica il suo
contrapposto di sicurezza rappresenta l’esatto, per la paura sociologica la
sicurezza può non essere tale.
Anzi, è possibile che il persistere della paura sociale
continui o si accentui anche con il raggiungimento della tanto agognata
sicurezza. I deliri, le fobie e le patologie dei ricchi e reali descritte nella
mitologia, in letteratura e spesso nella cronaca odierna non sono altro che una
conferma.
Nel libro, avidamente letto tra gli altri da Mussolini e
Hitler, The Crowd: A study of the popular mind di Gustave Le Bon del 1895
vengono ritratte le caratteristiche attribuibili alla “Folla”.
Impulsività, incapacità di ragionare, assenza di spirito
critico, esagerazione dei sentimenti.
Queste caratteristiche sembrano calzare a pennello per la
descrizione non di una “folla” ma di un “fòlle” dal latino follis “testa
vuota”. Quando quindi un individuo perde
la capacità di senso critico e si amalgama a quella della “folla” si trasforma
in un pazzo.
Non a caso Kierkegaard era solito dire come: “Maggiore è il
numero di persone che crede in qualcosa e maggiore sarà la probabilità che sia
sbagliato. Colui che ha ragione, spesso, deve stare in piedi da solo”.
La globalizzazione e la spinta uniformante ci stanno quindi
trasformando in una grande folla continuamente connessa. Nella sua psicoanalisi della società
contemporanea Erich Fromm parla di una società intera psichicamente ammalata
contrapponendosi alle posizioni del relativismo sociologico condivise dalla
maggior parte dei sociologi contemporanei.
Questi presuppongono che una società non possa che essere
“normale” (termine coniato dal pensatore radicale progressista Inglese Jeremy
Bentham) in quanto funzionante, e che la patologia possa essere definita
soltanto nei termini di un mancato adattamento individuale a questo tipo di
vita proprio di tale società.
Secondo quanto pensavano i principali esponenti della scuola
di Francoforte la società moderna, contemporanea portava al suo interno il seme
della follia, che nella sua forma più atavica prende il nome di paura.
La paura quindi non è un male esclusivo del nostro tempo ma
bensì di tutti i tempi e di tutte le vite. Ciò che differisce è la reazione
degli uomini, la loro organizzazione e le loro risposte nel cercare di arginare
queste paura, in principio quelle fisiche contrapponendole alla sicurezza
fisica, in seguito quelle esclusivamente psicologiche per le quali però sembra
non esistere una semplice soluzione. Il progresso alimentato dai timori
sociologici è forse e per certi versi più grande di quello alimentato dai timori
fisici.
L’uomo moderno in costante lotta con i suoi demoni sociali,
mai solo ma sempre connesso ha forse ancora più occasione di evolversi e
migliorare la propria condizione psichica.
Come per i timori fisici la Darwiniana frase “Survival of
the fittest” è applicabile anche ai timori sociali, psicologici che vengono
imposti su di noi.
Solo chi è più velocemente in grado di adattarsi al
cambiamento di pressione psicologica sopravvive e questo non necessariamente
coincide con il più forte o il più intelligente.
Le persone non sono in grado di pensare lucidamente quando
hanno timore. Numerosi studi fisiologici come quelli di Joseph Ledoux “the
emotional brain, fear and amygdala” del 2003 o “Fear conditioning can
contribute to behavioral changes observed in repeated stress model” del 2012
hanno dimostrato come la paura sia nemica della ragione. Distorce le percezioni
ed emozioni guidandoci verso mediocri decisioni.
Nel corso degli ultimi decenni molti aspetti della nostra
società si sono trasformati in abili comunicatori e fabbricatori di messaggi e
informazioni mirati a suscitare in noi risposte dettate dalla paura.
I social media e l’informazione di massa sembrano costantemente ricordarci come sia il caso di essere preoccupati e di avere
molta paura. L’incredibile campagna mediatica contro la “Guerra al terrore”
post 2001 che da ormai quindici anni invade e pervade tutti gli schermi delle
tv occidentali ne è un chiaro esempio.
Le televisioni e i film sono stracolmi di violenza e omicidi
in numero estremamente maggiore rispetto a quanto non avvenga nella realtà.
L’escalation e militarizzazione della polizia contribuisce a rendere la
percezione di questo terrore mediatico sempre più reale. Come citato dal libro
di Barry Glassner “Culture of fear” oggi viviamo immersi in quella che è una
vera e propria “cultura della paura” spesso indirizzati però verso i timori
sbagliati.
La sensazione è quella di vivere una società dominata da una
distruttiva e crescente preoccupazione della paura. Questa fabbrica della paura
alimenta violenza, malattie mentali, traumi, disintegrazione sociale.
La paura pervasiva sembrerebbe essere l’agente necessario a
preparare il percorso per una società autoritaria con sempre maggiore potere di
polizia, oppressione codificata legalizzata e invasione della privacy come in
una distopia a metà strada tra Orwell e Aldous Huxley.
E’ realmente così o la cultura della paura non è altro che
una profezia auto alimentata dai desideri dei cittadini che chiedono di non
avere più paura?
Non è forse vero che se esistesse un programma politico in
grado di garantire la sicurezza fisica, economica e sociale per tutti i
cittadini questo rappresenterebbe il più grande successo di sempre?
Allora se è vero che le persone sono disposte a tutto pur di
ridurre le loro paure, queste vengono fabbricate dall'alto e fatte cadere sulla
base? O nascono dalla base e vengono amplificate e riconsegnate dall'alto
successivamente?
Le vulnerabilità di massa vengono certamente abilmente
sfruttate e cavalcate dei politici e dai media ma queste sono pre-esistenti a
qualsiasi invenzione o fabbricazione.
Queste vulnerabilità sono i sintomi della paura congenita ed
imprescindibile dalla vita stessa. Se parliamo del mondo occidentale pensiamo
in particolare alla nazione di rifermento dell’impero moderno, gli USA ed in
particolare all'instabilità finanziaria.
Nel paese della libertà dove tutto sembra essere
apparentemente possibile, dove la riflessione di Ludwig Wittgenstein “I limiti
del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” è stata trasformata da Walt
Disney e Hollywood in “Se puoi sognarlo, puoi farlo” circa 45 milioni di
persone vivono sotto la soglia di povertà, uno su cinque riceve medicamenti relativi
ad una patologia mentale con un incremento del 22% dal 2001 al 2010 tra gli
uomini e del 30% tra le donne nello stesso periodo.
Secondo l’Anxiety
Center circa 40 milioni di persone verranno indebolite e potranno cadere
vittime di abusi e dipendenze a causa dell’ansia.
La paura è senza dubbio la più grande forza esistente in
questa società proprio perché non viene fabbricata esternamente come una droga
o un’arma, la paura è dentro di noi.
La paura siamo noi.
Nell più profondo linguaggio globale.
LA PAURA E IL POTERE
La cultura della paura quindi è ai massimi livelli nel paese
paradossalmente più sicuro al mondo. Hitchcock diceva che si possono guardare i
suoi film e restare terrorizzati ma appena finita la pellicola si tornava alla
realtà. Oggi la realtà è stata trasformata in un horror movie dal quale non si
può uscire a fine proiezione.
La paura come strumento per controllare ed elevare la nostra
posizione attraverso la nostra immaginazione, come Seneca diceva “Soffriamo più
spesso nell'immaginazione che nella realtà”. La paura come narrativa e potere,
come diceva Edmund Burke “Nessuna passione riesce a spogliare la mente di tutto
il suo potere di agire e ragionare come la paura”. Una popolazione timorosa è
certamente una popolazione più facile da manipolare.
Henri Frankfort, Egittologo e orientalista Olandese,
riconosceva come ci fossero forze in Egitto che cercavano di mantenere vive
determinate psicosi per unificare gli scopi della nazione, vi erano pericoli che si potevano invocare per unificare la comunità, in quanto l’unità è sempre
un vantaggio per un potere centralizzato. Instaurare il terrore in una
popolazione e autoproclamarsi detentori delle soluzioni necessarie a
scongiurare la tragedia è un po’ come avvelenare qualcuno tranquillizzandolo di
avere l’antidoto.
Il giornalista Americano Henry Louis Mencken scriveva già negli
anni ’30 come l’obbiettivo della politica pratica non fosse altro che mantenere
la popolazione allarmata con infinite minacce per lo più immaginarie.
John Adams, uno dei padri fondatori degli Usa disse “La
paura è il fondamento della maggior parte dei governi”. Il miglior modo per
alimentare la paura è quello di utilizzare dei “False Flag” e delle
“Ripetizioni”.
I false flag sono tattiche segrete condotte in operazioni
militari o di spionaggio progettate per apparire come attuate da altri enti od
organizzazioni.
“Non sarebbe impossibile provare, con la dovuta ripetizione
e comprensione psicologica delle persone coinvolte che un quadrato è in realtà
un cerchio. Queste sono solo parole e alle parole è possibile dare la forma che
si preferisce” Joseph Goebbels
“Chi è in grado di farti credere assurdità, è in grado di
farti commettere atrocità” diceva Voltaire
Secondo la spiritualità orientale, la società occidentale è
così ossessionata dalla paura perché disperatamente alla ricerca continua del
piacere. Intendono quindi il piacere come l’altra faccia della medaglia, ed
essendo il raggiungimento della felicità impossibile attraverso la mera
soddisfazione del piacere, non ci resta che la paura.
E’ la ricerca del piacere che ci conduce verso la paura, ma
non è la ricerca stessa un piacere?
Il pessimismo culturale che associa la paura come indotto
strumento principe del potere è la stessa che considera una società, vittima di
questo ricatto, in decadenza irreversibile. In attesa di una rivoluzione che
come una grande pioggia possa lavare via i nostri peccati e permetterci un
nuovo inizio.
Da Herbert Marcuse a Denise de Rougemont, che confidava al suo
diario come Hitler e il Bolscevismo non fossero il vero nemico ma solo dei
prodotti nati in risposta alla minaccia rappresentata dal pensiero liberale, i
rivoluzionari legano la paura e il potere ad un vincolo indissolubile e
soprattutto estremamente conscio e lucido.
Parlando in particolare del nostro paese e dell’Europa non
si può fare a meno di notare come i mentori dell’unione fossero dei pessimisti culturali e
abbiano utilizzato come fondamento principale della loro architettura
burocratica la paura.
Al livello base, la paura che lo sterminio della seconda
guerra mondiale sarebbe potuto ripetersi.
Dietro le quinte, ad un livello intellettualmente e
ideologicamente superiore, la figura di Nitzsche dell’ultimo uomo.
Intellettuali come l’emigrato russo Alexandre Kojève nei
primi anni trenta tenevano seminari alla Sorbonne che presentavano la storia
universale di Hegel come un progresso che si ad diceva perfettamente alla
disillusione Francese post-Verdun.
Tra i suoi studenti erano presenti Raymond Aron, Maurice
Merleau-Ponty, George Bataille, Jacques Lacan e André Breton.
Il capitalismo occidentale e le sue istituzioni democratiche
avevano vinto sulle possibili alternative. Una rivoluzione Marxista per dare
giustizia agli oppressi non era più possibile (così come imparò il Marxismo
Tedesco del 1919 con Rosa Luxemburg) e forse nemmeno desiderabile. La società
industriale moderna avrebbe invece spinti le persone verso una maggiore
libertà, tutti si sarebbero alla fine imborghesiti e tutti si sarebbero
felicemente uniformati in una cultura sempre più omogenea alla “fine della
storia”. Il concetto di “fine della storia” sarà poi ripreso dal saggio di
Fukuyama “The end of History ?” del 1989 l’annno della caduta del muro di
Berlino pubblicato sul The National Interest.
Fin qui tutto bene, se non fosse che la figura dell’uomo
moderno, alla fine della storia, non era proprio rappresentato dal prodotto
umano che Hegel o gli altri liberali progressisti suoi eredi avevano
immaginato.
L’uomo moderno di Kojéve era già l’ultimo uomo di Nietzsche.
Apatico, scialbo, senza vita. Conformista senza alcuna speranza aveva
abbandonato ogni speranza di se stesso, della sua personalità e vitalità al suo
io sociale. Rinunciando alla sua capacità di amare e odiare, di creare e
distruggere. Alla fine della storia, Kojéve aveva previsto che tutto il mondo
sarebbe diventato come l’America, una visione tetra per gli intellettuali
Franco Tedeschi dell’epoca. La sua risposta è stata l’Unione Europea, una
Unione a metà strada tra la burocrazia, centralizzazione e controllo Sovietico
(nella UE anche le misure delle banane e dei fagioli devono essere
regolamentate) e il liberismo economico Statunitense.
Per metterla come canterebbe Hannah Montana, ha cercato “the
best of both worlds”.
Se potesse vedere il risultato della sua utopia oggi, si
renderebbe forse conto che un’Unione creata dalla paura e dal pessimismo non
nasce con i migliori presupposti, soprattutto se sogna di poter risolvere ogni
fobia, garantendo quell’ideale di sicurezza fisica e psichica che coincide con
la sua stessa illusione.
Funziona molto meglio il buon vecchio ideale della Terra
Promessa di Stati Uniti ed Israele.
Kojéve enfatizzava anche la necessità della rivolta e dello
spargimento di sangue non come parte di una lotta evolutiva Darwiniana per la
sopravvivenza ma come un sottostante della natura vitale dell’uomo. Kojéve
proclamava (come Bergson) che la storia è un campio d’azione e non di
contemplazione.
Ennesima conferma che la nascita di un ultimo uomo inerte e
compiacente-mente borghese segnava la fine della storia.
Ma la storia non finisce, e nonostante la paura alla base di
ogni movimento essa continua nella sua ricerca del piacere.
Nella sua ricerca dell’eliminazione della paura.
Maggiore è l’impegno di una società verso la soppressione
totale della paura e maggiore sarà il danno che creerà, ovviamente in buona
fede, d’altra parte sappiamo come l’inferno sia stracolmo di buone intenzioni.
L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura, è la paura stessa
diceva Roosvelt, e non c’è dubbio che l’uomo debba e riesca a trasformare quel
terrore paralizzante in evoluzione e progresso.
La società dei rischi, nel culto della paura, dove il mondo
sembra un luogo invivibile ed inospitale, dove le famiglie chiudono le porte,
dicono le preghiere e lo stesso non riescono a dormire, è in realtà più sicuro
che mai.
Se una minaccia reale come un attacco o un assalto unisce e
forma i popoli, pensate a come la guerra dei cent’anni abbia contribuito alla
creazione di Francia e Inghilterra, minacce psicologiche veicolate per trarre
un profitto (nessun prodotto avrebbe maggiore successo di quello, senza il
quale, saremmo fisicamente ed irreversibilmente in pericolo) dividono la
società, l’allontanano avvicinandola e chiudendola dietro uno schermo dal quale
è possibile filtrare e distorcere ogni messaggio.
Se prima provavamo una paura congiunta oggi proviamo una
paura più individuale ma questo solo perché, cercando la fine della paura non
possiamo evitare di riconoscere come la paura possa nascondersi in tutti gli
altri, fino a noi stessi.
Ma questo non accade perché qualche oscuro padrone
dell’universo ci sta manipolando, tutto questo accade perché noi vogliamo sia
così, perché noi abbiamo paura.
Vogliamo sapere che la paura è al di là dello schermo mentre
noi siamo al sicuro.
Vogliamo provare il piacere di avere paura.
Il Dasein dell’uomo e la natura grezza di Heidegger hanno
ispirato l’Esistenzialismo di Sartre per cui l’uomo incontra ostacoli solo nel
campo della sua libertà e le uniche restrizione sono quelle che permette agli
altri d’imporre sulla sua vera natura, negando la sua esistenza e vivendo così
nella “malafede” nella “menzogna”.
La vita e le relazioni tra gli uomini sono quindi “assurde”,
la malafede è come per la repressione di Freud la base della civiltà moderna.
L’uomo è condannato ad essere libero, condannato ad essere solo e le
restrizioni che si lascia imporre sono l’unica via di fuga dall'ansia della
libertà, fingere di non essere libero. Il cittadino della classe medio borghese
che Sartre prende a modello è un finto artista che finge di essere
quello che non è, per il bene degli altri. La vita con gli altri nella società
moderna è quindi una forma di auto immolazione, l’inferno sono gli altri. Ma
poi un bel giorno una serie di perché iniziano ad affiorare e allora
l’individuo potrebbe anche alzare la testa e spezzare le catene che ha lasciato
mettessero su di se per essere accettato nella società civile. Qui arriviamo a
Camus e l’uomo in Rivolta, l’uomo nuovamente e pienamente ingaggiato nei
destini del mondo e della sua esistenza.
Ad ogni modo queste teorie hanno una grande debolezza strutturale
alla loro base.
Se è vero che tutte le relazioni sono false e in malafede e
l’uomo per essere libero deve ribellarsi, da dove arrivano i nuovi scopi e i
nuovi significati dell’esistenza?
Chi si lamenta di essere manipolato, di voler esser quello
che vede, di sognare quello che li viene imposto di sognare e conseguentemente
sopprimere i propri sogni nell'auto immolazione civile tra “gli altri” quale
alternativa ha?
Liberarsi dalla “malafede”, tornare liberi e poi? In nome di
quale nuovo significato può trovare la forza di liberarsi? Come può riconoscere
la sua autenticità?
E poi resta la paura più grande, non solo quella della
libertà ma quella della natura umana che non sa, oltre all'atavico istinto di
sopravvivenza, che cosa vuole essere, chi vuole essere.
Quindi non resta che la ricerca del piacere illusorio
ottenibile solamente con il suo alter ego, la paura.
I calcoli errati delle nostre paure indotte sono
incredibili, quando i nostri istinti ci sconsigliano di fare giocare i bambini
all'aperto senza essere controllati, noi non pensiamo che i rischi della vita
sedentaria a cui li stiamo condannando superano di gran lunga quelli di un
rapimento.
Nel 1993 negli Usa esistevano solo alcune dozzine di
antibatterici, nel 2007 il numero era salito ad oltre 9.000 con circa 2700
nuovi articoli introdotti all'anno. E non importa che studi scientifici abbiano
constatato come il sapone antibatterico non sia maggiormente efficace di una
normale saponetta. Le vendite di prodotti antibatterici hanno superato il miliardo
di dollari e in aumento. Se non sei terrorizzato dai germi è quindi perché non
hai guardato abbastanza TV.
Anche in questo esempio non è l’industria globale che
sfrutta e crea una paura immaginaria. Siamo noi consumatori a voler essere
sempre più sicuri, poter provare sempre più piacere e sempre meno paura, siamo
noi consumatori a chiedere che l’industria ci racconti delle menzogne per
potervi credere e illuderci di vivere psicologicamente più sereni.
Il Marketing non si muove altro che lungo questa linea
immaginaria che vede prodotti sempre più sicuri, efficienti e preformanti. In
qualunque declinazione di aggettivi essi possano dirigersi, da ecologico a
status symbol.
Tutte le ideologie, i regimi politici e le strutture sociali
nella storia dell’uomo sono guidate dalla paura.
La produzione di potere e la manifestazione del potere
stesso non sono altro che riduzioni di paura effettive o presunte.
La produzione di verità è in antitesi con la produzione di
potere.
La vita è un viaggio con un ritorno senza inizio.
Il controllo sociale e la distruzione cosciente del concetto
di privacy, non quindi imposta da terzi ma implementata più o meno
coscientemente da noi stessi servono a ridurre illusoriamente la paura.
L’apatia della vita sociale moderna si riassume nella
masturbazione solitaria della vita dietro ad uno schermo.
Sulla definizione di libertà dovrebbe essere la scienza
empirica a fornire le basi per una spiegazione biologica, i risultati comunque
non soddisfarebbero mai le intuizioni dei filosofi.
I tentativi dell’uomo di convivere con la paura sono antichi
come l’umanità. Ad ogni modo, liberarsi della paura interamente è stato provato
essere impossibile e innaturale. La ricerca attiva della sicurezza come
antitesi alla paura è una componente basica dell’uomo come individuo. Le forze
utilizzate per contrastare la paura sono il coraggio, la fiducia, la
risoluzione, la forza, la speranza, l’umiltà, la fede e l’amore. Anche le
religioni e la scienza aiutano a gestire la paura.
Da un punto di vista etimologico per i temi trattati qui
sarebbe più sensato parlare di Ansia e non di Paura “Se ho paura ma non so di
cosa, sto provando ansia, non paura”. In ogni caso non esiste un netto confine
tra le definizioni legate a queste due parole. Analizzando il problema,
liberarsi di una paura significa liberarsi delle cause che la generano,
sempre che siano individuabili. Così liberarsi della paura di un nemico,
significa liberarsi del nemico o della percezione che lo rende tale. Rimuovere
la paura di ciò che non si conosce significa modificare quello stato in
qualcosa di più familiare.
La soppressione e l’elusione di informazioni minacciose
rappresentano una strategia di contenimento della paura.
Giddens nota che per la maggior parte della popolazione la
vita nell'Europa medievale era per lo più pericolosa e corta (simile a molte
condizioni che sperimentano i paesi poveri oggi). Non di meno è degno di nota
il fatto che nel Medioevo il concetto di fattori di rischio era assente.
Durante il 16° e 17° secolo il rischio era associato a quello di territori non
mappati durante le esplorazioni marittime intorno al globo. Più tardi una
connessione della paura venne fatta con il tempo, proprio come negli investimenti
bancari dove il risultato di un potenziale investimento è un fattore decisivo
per la scelta delle azioni conseguenti.
La nozione di rischio è quindi inseparabile dal concetto di
probabilità e incertezza.
Il rischio presume una società che cerca attivamente di allontanarsi dal proprio passato e dalla propria realtà attraverso l’accrescimento di potenza e tecnica. Una delle caratteristiche principali della società moderna industriale.
Il rischio presume una società che cerca attivamente di allontanarsi dal proprio passato e dalla propria realtà attraverso l’accrescimento di potenza e tecnica. Una delle caratteristiche principali della società moderna industriale.
Il punto cruciale della società industriale e finanziaria
contemporanea è quello di essere capace di affrontare eventi non prevedibili
attraverso un’attestazione e calcolo del rischio eventuale.
La novità è quella di anticipare uno stato che nel mondo ancora non esiste e di renderlo calcolabile.
Calcolare l’incalcolabile quindi.
La novità è quella di anticipare uno stato che nel mondo ancora non esiste e di renderlo calcolabile.
Calcolare l’incalcolabile quindi.
Così l’origine del rischio cade nell'era moderna in una
connessione con un paradigma di grado economico che è diventato il fondamento
della struttura intellettuale per la maggior parte del mondo contemporaneo.
Da Padova dove abitava arriva a Lisbona.
Il terrore dei morti viventi, è il terrore del nostro tempo.
Se ogni corpo martoriato potesse tornare e indicare chiaramente il proprio
carnefice, l’altipiano di San Isidoro e il miracolo di Sant'Agostino racchiusi
in una pittura di Goya. La vita oltre la morte. La morte oltre la vita.
Che folla bagnata dalla luce rossastra della sera, dalla
luce rossastra del sangue, Armi e mercato, mercato e armi, le armi aprono i
mercati, i mercati ci danno le armi, le armi proteggono i mercati, i mercati ci
danno le armi.
Lo sguardo di chi è indeciso tra la volontà di potere e la volontà di verità.
Lo sguardo di chi è indeciso tra la volontà di potere e la volontà di verità.
Uno spazio immobile dentro le tue calze.
Una balconata e un panno verde portato da una giovane fanciulla sulle spalle di un vecchio.
Una balconata e un panno verde portato da una giovane fanciulla sulle spalle di un vecchio.
Solo capricci.
Solo Fantasie.