Questa testimonianza è relativa all'inizio della fase finale quando ancora lo sterminio non era stato industrializzato, meccanizzato e quindi distaccato, alienato dall'individuo. Durante la fase delle fosse comuni è emblematico come il livello di disumanità raggiunto colpisse sia le vittime che i carnefici. In un certo qual modo non erano solo gli ebrei innocenti a morire ma anche i soldati che non di rado impazzivano.
Dei supremi gerarchi del regime soltanto Heinrich Himmler alla fine di agosto del 1942 assistette, una volta, ad una esecuzione di massa, ma per poco non svenne e fu colto subito da un attacco isterico. La burocrazia delle SS finì per coniare un proprio linguaggio surrogativo, parlando di Auswanderung (emigrazione), Sonderbehandlung (trattamento speciale), Saeuberung (bonifica o purga), Wohnsitzverlegung (trasferimento della residenza) oppure di natuerliche Verminderung (decremento naturale). Come cercassero di allontanarsi da questo disumano abisso che ha inevitabilmente comunque finito per risucchiare tutti. Al di là degli eufemismi, le cose si svolgevano per esempio così:
"Moennikes e io andammo direttamente alle fosse. Nessuno pensò di impedircelo. A questo punto udii provenire da dietro una collinetta di terra vari colpi di fucile in rapida successione. Le persone scese dai camion, uomini, donne e bambini di ogni età, su comando di un SS, che impugnava una frusta o uno scudiscio, dovettero spogliarsi e deporre i propri effetti in luoghi prestabiliti, le scarpe divise dagli abiti e dalla biancheria. Il mucchio delle calzature comprendeva, da quel che ho visto, da ottocento a mille paia, e c’erano grandi mucchi di biancheria e di abiti. I deportati si spogliavano senza pianti né grida, se ne stavano raccolti in gruppi per famiglia, baciandosi e dicendosi addio a vicenda, in attesa del cenno di un altro SS che era sceso nella fossa e impugnava del pari una frusta. Durante il quarto d’ora che sono rimasto accanto alle fosse, non ho udito nessun lamento né implorazione. C’era per esempio una famiglia di forse otto persone… Una vecchia con i capelli candidi reggeva in braccio un bambino di forse un anno, canticchiandogli qualcosa e facendogli il solletico, e il bambino lanciava gridolini di piacere. Il padre e la madre guardavano la scena con gli occhi imperlati di lacrime; l’uomo teneva la mano di un ragazzo sui dodici anni, parlandogli a voce bassa, e il ragazzo faceva del suo meglio per inghiottire le lacrime. Il padre indicava con il dito il cielo, accarezzava la testa del figlio, sembrava spiegargli qualcosa. A questo punto, lo SS che si era calato nella fossa gridò qualcosa al suo camerata: questi isolò dal resto una ventina di persone e ingiunse loro di recarsi dietro la collinetta di terra. Tra queste si trovava la famiglia di cui ho testé parlato. Mi ricordo perfettamente di una ragazza sottile e coi capelli neri che, passandomi accanto, indicò con un cenno se stessa e disse: «Ventitré anni!». Mi recai a mia volta dietro la collinetta di terra e mi trovai di fronte a un’enorme fossa; in questa le vittime giacevano fittamente ammucchiate l’una sull’altra, tanto che se ne vedevano soltanto le teste, e da tutte il sangue scorreva sulle spalle. Alcuni dei fucilati si muovevano ancora, certuni alzando le braccia e agitando il capo, per mostrare che erano ancora vivi… Volsi lo sguardo all’uomo che provvedeva alle esecuzioni, un SS che se ne stava seduto per terra, sul lato minore della fossa, con le gambe penzoloni in questa, un mitra di traverso sulle ginocchia, intento a fumare una sigaretta. I fucilandi, completamente nudi, scesero nella fossa per una rampa scavata lungo la parete di fango e, inciampando nelle teste dei caduti, raggiunsero il punto indicato loro dalle SS. Si disposero davanti ai morti o feriti, alcuni di loro facendo una carezza a quelli che erano ancora vivi e dicendo loro sottovoce qualcosa. A questo punto risuonò una salva. Guardai nella fossa, e vidi che alcuni dei corpi erano ancora agitati dalle contrazioni agoniche oppure erano già immobili. Dalle nuche ruscellava il sangue".